giovedì 31 luglio 2008

Giallo Scacchi

GialloScacchi

Antologia narrativa di scacchi e crimini

Trentuno racconti gialli in cui è protagonista il gioco degli scacchi.
E in cui vi sorprenderà il numero di punti di vista con cui gli scacchi sono stati sfruttati, dando vita ad un'ispirazione estremamente variegata ed interessante.
Si parte dagli scacchi come mezzo per scoprire il colpevole lungo il sentiero di una tradizione consolidata del giallo classico, fino ad arrivare a quei racconti dove non si sa quando finisce la fantasia e dove incomincia la realtà. Un miscuglio fra reale e irreale, il possibile e l'impossibile, il sogno che non è un sogno.
Tra gli altri, la storia con il famoso automa il "Turco" ambientata nei primi anni del Regno d'Italia e addirittura i redivivi Hitler e Che Guevara…

GialloScacchi — racconti di sangue e di mistero (Ediscere) a cura di Mario Leoncini e Fabio Lotti — 224 pagine - ISBN 88-88928-33-2 - € 18,00

Indice
Introduzione - Gli scacchi nella letteratura poliziesca di Fabio Lotti
A volte basta poco di Andrea Angiolino
Non dire niente di Alessandra Arcari
Il sacrificio della Regina di Lino Bologna
Saponite e alabastro di Andrea Bosco
La notte del Maestro di Paolo Campana
La mossa di Guzmán di Pelagio D’Afro
Scacco matto all’assassino di Dario de Judicibus
Il re è morto, viva il re! di Fernando Fazzari
Matto con l’Alfiere di Matteo Fraccaro
Il matto del barbiere di Aleks Kuntz
Variante condizionata di Mario Leoncini
Tre racconti brevi di Fabio Lotti
Shah Mat di Enrico Luceri
Gli scacchi della vita di Gordiano Lupi
Fianchetto di Donna di Sabina Marchesi
Pedoni sotto tiro di Angelo Marenzana
Invito al circolo con delitto di Alberto Miatello
Regicidio di Cristiano Panzetti
Il Gran Visir di Riccardo Parigi e Massimo Sozzi
Il Cavallo rovesciato di Massimo Pietroselli
L’ultima mossa di Renzo Saffi
Soluzione finale di Stefano Santarsiere
L’ordine delle cose di Giovanni Sicuranza
Giocare con la vita di Mauro Smocovich
Vanità di Enrico Solito
Domani di Gianni Tetti
Il Bianco muove e uccide di Simone Togneri
Il matto di Blackburne di Elena Vesnaver
Postfazione di Sabina Marchesi e Massimo Pietroselli

domenica 22 giugno 2008

attesa (poco dopo)

Attesa (poco dopo) di Giovanni Sicuranza

L'ultima volta che ha fatto la fila è stata agonia pura tra sotto-evoluti ciondolanti. Dieci minuti dieci, un'offerta tra sudori e musiche pop-rinco da filodiffusione, che neanche al tre per due, tutti tesi e immobili verso quella cazzo di cassiera.

Davanti a lui un balenottoro in vestaglia floreale, grondante profumo da ipermercato, per l’appunto.

Italo ha pensato a uno sciame di calabroni ingrufaliti, ghiotti dei fiori disegnati sul vestito di quel donnone. E’ stato l’unico momento in cui ha sorriso.

Per il resto, fila, oggetti vomitati sul rullo della cassa, quella fottuta lingua grigia lenta, troppo lenta.

Oggi, però, ha fatto la spesa in compagnia.

Vagina Seminova, la sua vicina di casa. Beh, non proprio lei, ci mancherebbe, poi toccherebbe pagarla. E lui, con lo stipendio da medico neo-specializzato, mica se la può permettere una zoccola ucraina o giù-di-lì come la Seminova.

Ma sua figlia, la piccola Anna, eccola qui. E' con lei che ha gimcanato tra gli scaffali.
Bella, paffutta, un frugoletto acchiappa sorrisi di sette mesi. O otto. Va beh, chi se ne frega adesso.

Italo frena. Il carrello sbanda appena sulla destra, asmatico sotto la valanga della spesa.
Davanti a lui, una coppia di parassiti, studenti universitari. Li riconosci perchè sotto quell’aria scazzata hanno la muffa. Tutti uguali, bighelloni a spese dello Stato, pronti a ingrassare la disoccupazione.

Sono feccia, pisciano, cagano. Oziano. Tanto paga papà.

Anna alza gli occhi su Italo. Italo le rivolge un sorriso aperto.
Ridi, piccola, le sussurra, le parole che scivolano leggere verso il frugoletto seduto sul ripiano del carrello.
La piccola scalcia, poi si perde intorno ai colori del consuma-consuma accesi sugli scaffali.
Italo torna a guardare davanti, dipinto da un sorriso colmo di affetto, che non crolla nemmeno quando si accorge che oltre la mandria degli studenti c’è una nonnina misera misera, che sembra sul punto di spezzarsi mentre spinge il carrello e invece no, porca puttana, avanza avanza verso la cassa. Ma quanti anni avrà quello scheletro osteoporotico? Non dovrebbero recintarla in unca casa di riposo?

Anna è un ghè-ghè festoso rivolto a Italo.
La tipa con percing al naso si stacca dallo zombie intellettualoide che le sta sbavando sul collo e si volta verso di loro. Sorride alla pupa, i denti bianchi, troppo bianchi per essere veri, dai, chissà quante canne si fa tra un esame e l’altro.
Sempre che dia esami.

Anna si agita, presa dal vortice empatico. La tipa allarga sorriso e narici. Il percing ciondola e si innalza, pronto a strapparle la carne. Invece niente, niente.
Questa parassita continua a riconglionirsi davanti alla bimba, dimentica del tipo che fino a un attimo prima la stava praticamente scopando con le mani.
E la fila non si muove.

Cazzo.

Italo si guarda da un lato, poi dall’altro.
La fighetta finalmente si gira verso la cassa.
Anna alza ancora gli occhioni su Italo.
Che le dedica un bacio. E subito dopo una sberla sulla nuca. Veloce.

Anna barcolla, annaspa. Sbatte il naso sulla catena del carrello, appena, per fortuna.
Niente sangue, spera Italo. Per Anna c’è un altro ruolo.
E infatti la piccola fa quello per cui lui si è offerto come baby-sitter.

Prende fiato. E urla tutto il suo dolore. Piange.
Un ululato potente che paralizza il supermercato.

I segaioli della società si voltano con unica testa bovina verso loro. La nonnina scricchiola tutte le vertebre della schiena e del collo. La cassiera si marmorizza su uno scontrino lungo come un pitone.

"Scusate", mormora Italo, mortificato, "Scusate", ripete, gli occhi sbigotti di tutti che rimbalzano tra lui e quella povera ciccina piangente, "Ha fame, non mangia da tempo e ...", urlo del fagottino in sol maggiore, "... La mamma ci aspetta là fuori", conclude indicando un punto a caso oltre il confine della cassa.
Prego, venga, ci mancherebbe, poverina, poverina.
E la fila si apre davanti a lui, neanche Mosè con il Mar Rosso. O era Nero?

Italo ringrazia, un sorriso qui, uno là. La piccola paonazza.
La cassiera batte veloce ogni pezzo. Birra, formaggio sfuso, fuso, veloce, veloce, fino a fondere le dita, gli occhi avviliti sulla bimba.

Italo esce dal supermercato.
Respira a fondo. Soddisfatto.
Spinge il carrello verso l’auto, la cucciola che si è addormentata. Spossata.
Lui si china appena, giusto per controllare che respiri, e intanto si chiede se Vagina Seminova avrà ancora bisogno del baby sitter. E sorride di un sorriso vero.

Domani c’è la banca.

giovedì 5 giugno 2008

figli di cagna

figli di cagna
Giovanni Sicuranza

Cazzo se ringhia.

Non c’è guinzaglio che la tenga, vedete?
Nel senso, cioè, io potrei anche provarci, ma, ecco,
ringhierebbe solo più forte.
I suoi muscoli sono lucidi, sudano fumi.
Mica hanno pause come i nostri.

Sai, rincoglionito, ti ho visto scuotere la testolina.
Fragile fragile.
Ho assorbito il tuo vaffanculo miagolato al nostro passaggio.
Sarai la sua prossima preda.

Perché, dai, cazzo credevate, che avevo voglia di tenerla al guinzaglio?
Il prossimo giro sarà sulla tua schiena di saputello.
Sentirai come morde.

La mia moto cazzuta.

domenica 25 maggio 2008

attesa (risvegli)

La notte si spezza nell'incubo dell'uomo.
Luce, lame. Filtrano dalle persiane, si infilano ovunque sotto le lenzuola sudate.
Severo si rannicchia sui cuscini con un gemito.
Il cuore batte ancora, però, anche oggi. Nonostante tutto, non è lui che si è lanciato dal baratro.
Ma quello che ha vissuto nel sonno non è nemmeno un incubo. Certo, filtrato, con colori da technicolor, con prospettive che non potrebbe mai conoscere, come il primo piano del suicida ripreso di fronte. Assurdo, non avrebbe proprio potuto farlo, a meno di librarsi nel vuoto come i cartoon.
Ma un po' di serietà, cavolo, perchè, queste licenze oniriche a parte, nel sonno ha semplicemente rivisto quanto accaduto due giorni prima.
Il suicido del barbone. Un relitto che si era messo in testa di amare quanto lui, solo lui, riesce a amare. Di uccidere come solo la sua passione sa uccidere.
Che tormento, quel parassita. Lo ha seguito per mesi, dopo averne spiato gli amplessi. Ha lasciato una lunga bava di ammirazione lungo la sua ricerca.
Severo allunga cauto le gambe oltre il letto, attento a non fare rumore, per non svegliare la donna al suo fianco.
Il fatto che sia morta, dilaniata dai suoi denti e da quelli di un coltello, non gli da certo il diritto di mancarle di rispetto.


Giovanni Sicuranza

attesa (respiri)

Sul baratro, l’uomo non respira. È un allenamento per prepararsi a morire.
Trattieni il respiro e chiudi gli occhi.
No
, pensa, lasciali aperti, gli occhi, e guarda, sei sulla Panoramica, c’è tutta la città, lì davanti, così piccola e distante, un plastico vulnerabile.
Uno sprazzo di vitalità che lo sorprende al punto di fargli abbassare le difese. Così l’aria sfonda le narici, mentre lui inarca la schiena sotto quel fresco precipitare verso i polmoni.
L’attimo dopo, mentre annaspa con il naso, lo sguardo torna al pulsare delle luci in fondo alla vallata.
Così vulnerabile, questa città. Ed è la tua assassina.
L’uomo vorrebbe sorridere, ora, ma le sue labbra da tempo ne ignorano i desideri e fino a oggi hanno avuto ragione.
Allora decide di infischiarsene di tutto e si accascia sul bordo del baratro, lungo la linea dell’alba.
Città canaglia, non sei riuscita a digerirmi e ora mi sputi.
Gli occhi cadono sul selciato al suo fianco, seguendo le dita che disegnano ellissi, appena accennate, leggere. Fragili.
- Ti aspettavi gratitudine? – ironizzano le labbra.
L’uomo inclina la testa di lato e rimane in silenzio, paziente, fino a quando il loro suono precipita sotto, tra i massi del dirupo, fino a quando non si spezza per sempre sui tetti della periferia, settecento metri più in basso.
Ma le labbra sono testarde.
- La città non apprezza la morte.
Questo è troppo!, sbotta la mente di lui, mentre le dita sollevano solidali sbuffi di selciato.
Un sorriso, decisamente fuori luogo.
Siete arroganti, siete…
- Maleducate? – provocano le labbra, rotolando macigni di sofferenza – Invece tu, no, vero? Ci hai sfruttato per i tuoi scopi, ci hai spinto verso la seduzione.
L’uomo decide di smettere ancora di respirare e di farla finita, ma quelle due smorfiose sono un impeto di parole.
- Ci hai spinto verso le labbra delle tue vittime. E per cosa? Per ingannarle. Un bacio, un sorriso. E poi le hai uccise, tutte.
Era solo amore, geme lui, solo amore. Dovevo essere l’ultimo per ognuna di loro. Io dovevo solo …

- Ucciderle.
Le mani di lui salgono alla bocca e stringono.
Basta!, urla.
Le dita artigliano le labbra, le schiacciano una contro l’altra.
Zitte!
E tirano, graffiano, affondano, fino a farle sanguinare.
Fino a ucciderle.
L’uomo ansima mentre si alza in piedi.
L’alba sta diluendo i suoi colori e tra poco la città sarà ancora un occhio vigile.
C’è troppa paura in giro, troppa gente interessata a lui.
È da un mese che non riesce a avvicinare un’altra donna, un’altra come quelle che ha amato. Per sempre.
La città è l’ultima donna, la più grande. E ingloba tutte le altre.
Gli occhi di lui diventano pesanti di lacrime.
La città lo tiene lontano. Negandogli l’amore.
L’attimo dopo l’uomo è un lungo tuffo nel vuoto.
Mentre precipita ha la mente sgombra, gli occhi chiusi, il respiro sospeso.
Solo le labbra, libere dalla presa, sorridono.


Giovanni Sicuranza

lunedì 19 maggio 2008

tra i miei deliri

Al momento, dove trovare (e acquistare) i miei romanzi:

http://www.ilmiolibro.it/autore.asp?id=2358

Da luglio '08:

"L'ordine delle cose", nell'antologia "Giallo Scacchi", Ed. Ediscere

(anteprima anche su: http://www.statale11editrice.it/avantgarden/index.php?option=com_content&task=view&id=108&Itemid=40 )

Si invita a versare un contributo sul c.c. 69696969, Banca Popolare dell'Autore Egocentrico in Estinzione (così da arricchirlo e favorirne l'estinzione).

Gracias.